Vito Camiz

       (Ancona 1907 – Roma 1987)

   mostra a Rovere su Rovere


Laureato in ingegneria civile ed in matematica, è stato ingegnere strutturista, per costruzioni civili ed industriali, e professore di matematica alla Facoltà d’Architettura dell’Università di Roma fino al 1977. Negli anni 1941-42 ha insegnato matematica all’Università clandestina, diretta da Guido Castelnuovo. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche relative al calcolo strutturale del cemento armato, ha firmato numerosi ponti in diverse regioni d’Italia: fra gli altri, il ponte sull’Arno a Fucecchio, il ponte della Scafa sul Tevere, il ponte sul Bormida dell’autostrada Savona-Ceva, il ponte sul Tevere della via Olimpica a Tor di Quinto, Roma. Benché nel 1938 avesse vinto l’appalto concorso per il Ponte San Paolo sul Tevere, non poté poi realizzarlo per le sopravvenute leggi razziali.

Il suo lavoro creativo non s’esaurisce però con i ponti: diplomato in violino ha sempre continuato a suonare con i figli, suscitandone l’amore per la musica, e con altri, in particolare nei “mercoledì musicali” che negli anni ‘60 hanno raccolto settimanalmente numerosi appassionati in casa Camiz. Da sempre dedito alla fotografia (e più tardi anche al cinema), ne ha trasmesso l’amore e la competenza ai figli ed al nipote Roberto, che ne hanno seguito i passi anche in camera oscura.

Vito ci ha lasciato migliaia d’immagini: da formati antichi, come il 4½ × 6 e 6 × 6 della Rolleiflex, al 24 × 36 della Leica e di tante altre macchine reflex, fino all’Olympus OM-1, in bianco e nero ed a colori, ma anche Polaroid. Si tratta d’immagini colte nelle situazioni più varie: ritratti, paesaggi, architetture di città, architetture di paese, situazioni di lavoro, situazioni sociali, nature morte...

In questa rassegna abbiamo voluto concentrare l’attenzione su alcune sue tematiche: immagini di paesaggi e di campagna, scorci urbani e di paese, il mercato di Porta Portese, uno dei suoi soggetti preferiti ed in particolare ritratti di abitanti di Rovere. Si tratta del paese nel quale si rifugiò nel 1943 con la moglie Elena e col figlio Paolo ed i cui abitanti assicurarono la loro salvezza durante l’occupazione tedesca.

Di queste fotografie, alcuni ingrandimenti sono originali d’epoca, da lui fatti eseguire dal laboratorio Vasari di via Condotti a Roma; alcune sono stampe eseguite da lui stesso in camera oscura; altre, infine, sono state fatte ingrandire per quest’occasione, a partire dalle negative originali.

Albero nella campagna

Un vecchio tronco, svuotato ma ancora vitale, è ripreso sul primo piano della scena. I suoi rami, spalancati come braccia, raggiungono le estremità dell’inquadratura, mentre una luce espansa, proveniente da un indefinito est, disegna ombre nitide e suggestive sulla corteccia e sul pendio concavo dello sfondo.

Pesca sul lago Lemano

Controluce, la sagoma di un pescatore è sospesa nel delicato equilibrio necessario a sostenere il suo strumento sullo specchio d’acqua leggermente increspata. Silente funambolo sulla banchina del lago è concentrato ed immobile, un braccio proteso a bilanciare il peso dell’asta ed un palmo aperto, il berretto stagliato nel punto d’incontro tra le nuvole e le vette in lontananza.

Ragazze di Rovere

Atteggiate in una posa antica, da ritratto pittorico di altri tempi, tre ragazze ed una bambina si lasciano immortalare dal fotografo esibendo timidi sorrisi, abiti semplici ed elaborate acconciature. Sullo sfondo si intravede il paesaggio di Rovere e si respira la sincera contraddittorietà degli anni ’40 del secolo scorso.

La parata dei pupi

Sul palcoscenico improvvisato ogni domenica mattina al mercato di Porta Portese, una mezza dozzina di soldati-marionette mette in scena l’ennesimo atto della storia. Tra riflessi di scudi, elmi e gambali, poggiati sulla carrozzeria dall’automobile che funge da scenografia, restano impettiti con i piedi sospesi nel vuoto come personaggi di un mosaico bizantino. Il soldato senza collo, i cui baffi hanno la forma di un beffardo sorriso, guarda esplicitamente in camera.

Trasporti nel Lazio

Una donna dal passo marziale, goffa e robusta come i pesi che sopporta, ci viene incontro da un’altra dimensione. Ha appena varcato un antico arco di mattoni e percorre la sua strada, sicura, al centro del selciato, accompagnata solo dalle esili ombre perpendicolari e dallo stormire delle fronde.